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Pompeo Magno, Gneo.

Generale e uomo politico romano. Figlio di Gneo Pompeo Strabone, ricco proprietario terriero del Piceno, cominciò la sua carriera militare al seguito del padre, allora console e comandante d'esercito nella guerra sociale. Nell'89 a.C. prese parte, diciassettenne, alla conquista di Ascoli e salvò il padre da una congiura. Ereditò i ricchissimi latifondi paterni e riuscì a stringere vincoli di clientela con genti di Africa e Spagna, costruendo le basi del suo potere. All'annuncio del ritorno di Silla dall'Oriente, arruolò a proprie spese tre legioni, mettendole a sua disposizione per la riconquista dell'Italia (83 a.C.). Bandito per questo dal Senato, che parteggiava per i mariani, raggiunse Silla a Brindisi, e l'anno seguente contribuì alla presa di Preneste, dove si era rifugiato il figlio di Mario. Strinse con Silla legami familiari, sposandone, dopo aver ripudiato la prima moglie Antistia, la figliastra Emilia. Fu nominato legato da Silla, divenuto dittatore, con il compito di stroncare la resistenza mariana in Sicilia, capeggiata da Gneo Papirio Carbone, e in Africa, dove era invece riunita sotto la guida di Gneo Domizio Enobarbo. P. ottenne un grande successo nell'impresa, e gli venne riconosciuto il trionfo e il titolo di Magnus, a carattere ereditario (marzo 79 a.C.). In seguito al ritiro e alla morte del dittatore (78 a.C.), P. si schierò a difesa degli ordinamenti sillani, combattendo al fianco del console Q. Lutazio Catulo contro il collega M. Emilio Lepido, della fazione mariana, che sconfisse in Etruria. Fu quindi inviato in Spagna con 30.000 uomini, contro Sertorio, che stava riorganizzando il movimento democratico, e dopo una difficile campagna combattuta al fianco di Metello, grazie anche al tradimento di Perperna ai danni di Sertorio, riconquistò la regione (77 a.C. - 72 a.C.). La vittoria diede a P., nella Spagna stessa, un grande ascendente personale, e gli permise di fondare nuove città, come Pompaelo (Pamplona). Rientrato in Italia, debellò le ultime resistenze della rivolta degli schiavi, capeggiata da Spartaco e ormai repressa da M. Licinio Crasso, condividendo con lui il trionfo (71 a.C.). L'anno successivo ottenne il Consolato, con una procedura rivoluzionaria, non avendo egli ricoperto neppure la carica di questore, ed essendosi rifiutato di sciogliere l'esercito prima di rientrare in Italia, contrariamente alle disposizioni di legge. Nell'ambito di una politica mirante a indebolire l'oligarchia senatoria, un altro colpo portato alla Costituzione sillana fu la legge Pompeia-Licinia de potestate (70 a.C.), in base alla quale veniva restituito ai tribuni della plebe il potere di presentare leggi senza l'autorizzazione del Senato; venne inoltre deliberato l'accesso dei cavalieri nelle giurie dei tribunali, fino a quel momento appannaggio dei senatori. Licenziato l'esercito, P. si ritirò come privato cittadino negli anni 69-68 a.C. Nel 67 a.C., per far fronte alla minaccia costituita dalle scorrerie dei pirati nel Mediterraneo, che disturbavano gli approvvigionamenti marittimi, fu votata, su proposta del tribuno A. Gabinio, una legge che attribuiva l'imperio proconsolare per tre anni su tutto il Mediterraneo, mettendo a disposizione una flotta di 300 navi da guerra e un numero imprecisato di uomini. P. riuscì a farsi investire del mandato, ottenendo un aumento del numero delle navi (500), la possibilità di scegliere 24 legati e l'autorizzazione a disporre incondizionatamente dell'erario. In soli tre mesi, grazie a un'accorta strategia militare, riuscì nel compito affidatogli, riducendo i pirati all'impotenza. La presentazione di una nuova legge eccezionale (legge Manilia) gli conferì il comando della guerra contro Mitridate, re del Ponto, sottraendolo a Lucullo, nonché il governo dell'Asia, della Bitinia e della Cilicia (66 a.C.). Con un esercito di 60.000 uomini e attraverso un'abile politica di alleanze, P. riuscì a ottenere l'appoggio di Tigrane, re d'Armenia, che divenne vassallo dei Romani, e del re dei Parti Fraate III; battuto Mitridate a Lico, lo costrinse a ritirarsi nella Colchide, non potendo contare più sull'alleanza con l'Armenia. Trasformato il Ponto in provincia romana, e fondate numerose città tra cui Nicopoli, nell'Armenia, Pompeiopoli, in Paflagonia, Magnopoli, nel Ponto, P. si dedicò al riassetto delle terre d'Asia: si impadronì della Siria, lacerata da lotte dinastiche, ponendo fine al Regno dei Seleucidi (64 a.C.); contemporaneamente, sfruttando i contrasti sorti in Giudea fra i Farisei e i Sadducei per la successione al trono, dopo tre mesi di assedio, conquistò Gerusalemme, abbattendone le mura. La città e tutta la regione diventarono tributarie di Roma e furono affidate a Ircano II, che ebbe il titolo di etnarca, ma non di re; le città della costa furono proclamate libere, così come quelle della Galilea e quelle situate a Est del Giordano. Fu anche occupata la Cilicia orientale, che divenne provincia romana. Sbarcato a Brindisi (62 a.C.), P. sciolse il proprio esercito, dimostrando, nonostante le preoccupazioni del Senato, di non voler aspirare a un potere personale, ma di voler rispettare le forme costituzionali. La situazione politica a Roma, nel frattempo, aveva visto da poco fallire la congiura di Catilina, registrando nel contempo l'ascesa di G. Giulio Cesare. P., che aveva erroneamente confidato nel proprio prestigio personale e nell'appoggio popolare, di fronte ai tentennamenti del Senato, che ritardava la distribuzione delle terre ai suoi veterani, fu costretto a ricercare l'appoggio del suo antico collega, L. Crasso, e di Cesare, abile nel costruire il proprio consenso politico. Venne così stipulato un accordo privato, cui fu dato poi il nome di triumvirato, sebbene non avesse forma giuridica, in base al quale P. ottenne la ratifica dei provvedimenti da lui presi in Asia e le terre per i suoi veterani, mentre a Cesare venne conferito il Consolato per l'anno 59 a.C. e l'assegnazione del comando militare sulla Gallia Cisalpina, cui fu aggiunta presto la Gallia Narbonense, per cinque anni. Per rafforzare l'accordo, P. sposò Giulia, figlia di Cesare, il quale, partendo per la Gallia, si preoccupò di lasciare a Roma un proprio uomo di fiducia, P. Clodio. Il rinnovo dell'accordo (56 a.C.) riconfermò il comando di Cesare, e riservò il Consolato dell'anno 55 a P. e Crasso, cui sarebbe dovuto seguire un comando straordinario per Crasso in Siria e per P. in Spagna nel quinquennio successivo. Durante il Consolato, P. fece costruire a Roma grandiosi edifici, come il teatro del Campo Marzio, il tempio di Venere, i portici che portano il suo nome. Nel 54 a.C. P. assunse il Proconsolato in Spagna, ma preferì governare la regione tramite suoi legati, rimanendo a Roma. La morte di Crasso nel 53 a.C. ruppe l'equilibrio fra i triumviri, mentre Roma era preda delle bande di Clodio, contrapposte a quelle di Milone. Il Senato proclamò lo stato d'assedio e, conferendogli di fatto un'autorità straordinaria, affidò il Consolato a P., che cercò di porre un limite al potere di Cesare in Gallia, contestandogli il diritto di conservare il Proconsolato fino alla fine del 49 a.C., per poi rivestire la carica di console nell'anno successivo. La lotta politica, fra alterne vicende, si concluse con l'intimazione a Cesare di lasciare la provincia e di sciogliere l'esercito; questi contravvenne all'ordine attraversando il Rubicone (49 a.C.), ed entrò in Italia in armi, dando inizio a una guerra civile destinata a durare quattro anni. P. e il Senato si ritirarono a Brindisi, per poi imbarcarsi verso Durazzo. Cesare, inizialmente rimasto in Italia, si preoccupò di assicurarsene l'appoggio, riuscendo nel contempo ad assoggettare la Spagna; autonominatosi dittatore per indire nuove elezioni, assunse il Consolato, per poi trasferire le sue truppe nella penisola balcanica, dislocandole anche in Tracia e Macedonia. Nonostante la propria superiorità marittima, che in un primo momento gli aveva consentito di rompere il blocco cesariano a Durazzo, P. si fece trascinare allo scontro di Farsalo, in Tessaglia, dove, pur potendo contare su un numero di legioni superiore a quello dell'avversario, subì una pesante sconfitta (9 agosto 48 a.C.). Fuggito a Lesbo, si diresse poi in Egitto, fidando nell'aiuto dei figli di Tolomeo Aulete, da lui sostenuto al tempo della campagna d'Oriente; tuttavia, nel Paese, tormentato dalle lotte dinastiche fra Tolomeo XIII e sua sorella Cleopatra, i partigiani di Tolomeo, temendo di esporre l'Egitto alla vendetta di Cesare, lo uccisero a tradimento, mozzandogli la testa (106 a.C. - 48 a.C).